La Storia di Matteo Antinori
Questo è un frammento di storia che ho scritto nel lontano quinto superiore (ovvero 2016) invece di prestare attenzione a lezione; è uno scritto a cui tengo molto, un po’ perché sono sinceramente soddisfatta di come sia venuto e un po’ per il modo in cui, rileggendolo adesso col senno di poi, sembra in qualche modo anticipare il modo in cui la mia vita e la mia identità si sarebbero evolute negli anni successivi, e per questo a un certo punto mi piacerebbe farci un racconto completo.
Pausa pranzo in un’azienda come tante altre: cinque colletti bianchi
conversano attorno un tavolo, intenti ad ammazzare la noia mentre
consumano il loro pasto. Uno di loro, Matteo Antinori, è impegnato in
una conversazione che si ripete, con qualche variazione, ogni
giorno.
“Stamattina mentre andavo a lavoro mi è presa una fitta fortissima allo
stomaco”, disse.
“Ancora?” rispose un suo collega, Marco Nanni. “È la quarta volta questo
mese.”
“Sì, per non parlare di tutti gli altri dolori a caso! Ieri non ti era
venuto pure un crampo alla mascella?” proseguì un altro, Claudio
Marangoni.
“Com’è che vieni sempre colpito da queste sfortune?” chiese infine un
terzo, il cui nome non intendo inventarmi perché tanto è irrilevante ai
fini della trama.
“Ogni giorno, Dio si sveglia e tira una freccetta contro un bersaglio
appeso al muro; questo viene poi affidato a degli àuguri etruschi che
usano la posizione del dardo per divinare il volere del Signore e così
decidono quale girare tra un insieme di ruote sulla cui superficie sono
iscritti vari dolori in rune antiche. Un angelo poi entra nella stanza
malato di postumi, vomita per la diciassettesima volta sul tappeto
pulito e sviene”, spiegò Matteo in tutta serietà.
Sulla tavola caddero il silenzio e le posate.
“Cosa?” disse Marco. “Come fai a saperlo?”
“Ieri sera ho fatto visita ad una cartomante in via Roma. Ha recitato
qualche formula in latino, ha fatto la lettura dei tarocchi, si è
scusata per andare in bagno e mi ha spiegato tutto.”
“Capisco”, fece Claudio. “Forse è per la cosa dei tappeti?”
“In che senso?”
“Hai detto che l’angelo vomita sui tappeti per la diciassettesima volta
no? Forse prima di cominciare hanno dovuto fare scorta di tappeti su cui
aveva già vomitato sedici volte e hanno finito di raccoglierli proprio
il momento della tua nascita.”
“Potrebbe essere. Fortunatamente la cartomante mi ha anche venduto delle
istruzioni su come fare un rito che dovrebbe aiutarmi, devo solo
ricordarmi di prendere i sali d’argento al Conad.”
A quel punto iniziò a parlare il quinto, che fino ad allora aveva
taciuto.
“Dubito che il tuo fato sia vincolato a tali eventi cosmici: raramente
infatti ad essere mortali è concesso di avvicinarsi al divino senza
essere dannati per la loro empia tracotanza”.
“So che sei depositario di conoscenze arcane e discorsi del Vero,
Panfilo, ma non credi che sei gli Dei avessero voluto che noi ne fossimo
partecipi, avrebbero evitato di porre su di te la mitica maledizione di
Cassandra?” rispose l’innominato, suscitando il consenso generale.
Successivamente, a casa di Matteo.
La figura che gli si presentava dinnanzi era radiante: dalla sua
schiena si estendevano due enormi ali ali dalle piume bianchissime; i
suoi riccioli fulvi e geometricamente perfetti circondavano un volto
dalla pelle come porcellana e due iridi azzurre sovrastanti altrettante
borse scure; la sua veste candida era cosparsa di macchie dal colore
marcatamente organico.
Matteo aspettò che la luce divina si affievolisse, riguardo i post-it
rosa profumati su cui la cartomante gli aveva appuntato delle formule
augurali e con queste parole salutò solennemente il sogno erotico ariano
che aveva appena finito di barcollarsi una strada dai cieli al mondo
terreno: “Apostolo del Signore, le cui lodi imperiture sono cantate
infra i celesti cori, io umilmente invoco te, che ne porti la Volontà.
Ti interpello, Nottola della Fede, Vendetta su Ali, Vento Divino Mosso
Dall’Aeree, Rossa Notifica Sull’Icona Delle E-Mail Salvifiche Non Ancora
Lette…”
“…”
In quel momento Matteo lo guardò negli occhi e, vedendoli stanchi e
iniettati di sangue, si interrompette, indeciso. L’angelo lo stava
fissando con un misto di perplessità, irritazione e gin.
“Che?”, chiese.
Fu in quel momento che il nostro protagonista capì che doveva tirar
fuori il coraggio: non solo nel suo salotto era comparso un messaggero
di Dio, ma addirittura era comparso un emissario di Dio con un tasso
alcolemico tale che avrebbero potuto benissimo usare il suo sangue
durante l’eucarestia. Le sue parole dovevano essere decise.
“Senti.”
“Sei tu l’angelo che ogni mattino quando gli àuguri girano la ruota del
fato sbotta sul tappeto pulito?”
“Sì, e-e allora? Sarà problema mio.”
“E invece no, è anche mio! per colpa di quella ruota ogni giorno mi
sveglio con un dolore diverso! è lei a decidere quale.”
“No, non è vero. La ruota decide solo cose importanti, come il movimento
delle nuvole, o le inversioni del campo magnetico, o se un prodotto del
distributore automatico si blocca sulla spirale. Non ha nulla a che fare
con te.”
“Ma allora perché mi fa sempre male qualcosa? Non può essere
normale.”
“Sono piuttosto sicuro che una donna non si sarebbe fatta questi
problemi. Spiegami perché no”. Ruttò. “Mica tutto gira attorno a
te”.
In quel momento i due si zittirono. Si guardarono, a disagio, per dei
secondi che sembravano ore, Matteo improvvisamente consapevole della sua
stupidità, l’angelo progressivamente sempre più spazientito. Era un
silenzio a dir poco imbarazzante.
“Quindi”, fece l’apparizione.
“Hai intenzione di rilasciarmi adesso?”
“Come scusa?”
“Il rituale con cui mi hai chiamato mi ha anche vincolato a questo
piano, non posso andarmene finchè non reciti la formula di
liberazione.”
“La cartomante non me ne aveva parlato, mi aveva solo spiegato come
evocarti”, rispose Matteo mostrando gli appunti della donna; l’angelo
glieli strappò di mano e li annusò: sentì odore di fragola, ciliegia e
malignità ingenita. Urlò.
“LEI!”